Racconti «passeggeri» Le storie dei taxi finiscono in un blog
Ascolta le confessioni dallo specchietto retrovisore Raffaella. Il turista russo che le chiede dove può trovare un locale a luci rosse, l’anziano che ha un disperato bisogno di chiacchierare e la squillo che le racconta dei suoi clienti e di quel padre di famiglia che dopo ogni amplesso, insiste per mostrarle le foto dei suoi figli.
Ascolta le storie di una Milano che ama confessarsi davanti ad un’estranea che non rivedrà mai più Raffaella, e le riscrive sul suo blog. Si chiama psicotaxi e da ottobre ha già collezionato 15mila visite. «Un giorno mi sono resa conto di quante “cose pazze” avessi ascoltato dal 2002 e così mi è venuta l’idea di raccontarle, a modo mio». Si siede davanti al suo pc la mattina, la sera tardi, o prima di pranzo: «la verità è che ho una vita molto disordinata e quindi scrivo quando mi capita. Perché questo non sarà il lavoro più bello del mondo, ma ti rende libera». Ha cominciato «per guadagnare qualche soldo, mentre studiavo filosofia, solo nel weekend, con la macchina di papà». Un’Elba Innocenti su cui ha lasciato un pezzo di cuore, «perché era indistruttibile e perché è stata la mia prima auto, quella della prima corsa». Ora siede davanti al volante di una Megane Chenic: «Perché non hai scelto una Ferrari? – mi ha chiesto un bimbo – Semplice: le Ferrari devono essere rosse, i taxi invece bianchi».
Fa il turno «sette spezzato» di solito, ma ultimamente «comincio un po’ più tardi e finisco verso le 2: è rischioso ma più divertente: capita di incontrare i clienti più strani». «Quelli della notte», perché volendo dividerli in categorie, «bisogna guardare alla fascia oraria». I più inquietanti? «Il lunedì notte, ma non chiedermi il motivo». I più comuni? «I manager: salgono a Linate e basta uno sguardo per capire che sono figli della Milano che produce: conoscono bene i prezzi e non si lamentano mai». I più frustrati? «A qualsiasi ora del giorno, tutti i giorni: sembra che questa città ne produca in quantità industriale». E però lei non ci litiga mai. L’unica eccezione: «Una signora completamente rifatta – gli zigomi gonfi e la pelle liscia liscia – sale sul mio taxi a San Babila e mi insulta per tutta la corsa». Da qui l’idea di una piccola rivincita: «Dopo che è scesa le ho detto: “Anche se cambi le piastrelle del bagno, resta sempre un cesso!”».
Trentatré anni, alla passione per i noir e la scrittura alterna la sua attività di sindacalista iniziata come fondatrice del sindacato autonomo dei tassisti professionisti. Da sette anni davanti al volante, e da un paio tornata sui libri per imparare il cinese. «Appena mi capita un cliente con gli occhi a mandorla cerco di allenarmi: non sa che facce fanno quando sentono parlare la loro lingua». Altre volte però, di stucco rimane Raffaella: «È sempre una sorpresa quando qualche cliente mi riconosce e dice di essere un mio lettore». Eppure continuano a raccontare: dei loro problemi, dei loro sogni e di una Milano che cambia, di corsa in corsa.
RITA BALESTRIERO
Ascolta le storie di una Milano che ama confessarsi davanti ad un’estranea che non rivedrà mai più Raffaella, e le riscrive sul suo blog. Si chiama psicotaxi e da ottobre ha già collezionato 15mila visite. «Un giorno mi sono resa conto di quante “cose pazze” avessi ascoltato dal 2002 e così mi è venuta l’idea di raccontarle, a modo mio». Si siede davanti al suo pc la mattina, la sera tardi, o prima di pranzo: «la verità è che ho una vita molto disordinata e quindi scrivo quando mi capita. Perché questo non sarà il lavoro più bello del mondo, ma ti rende libera». Ha cominciato «per guadagnare qualche soldo, mentre studiavo filosofia, solo nel weekend, con la macchina di papà». Un’Elba Innocenti su cui ha lasciato un pezzo di cuore, «perché era indistruttibile e perché è stata la mia prima auto, quella della prima corsa». Ora siede davanti al volante di una Megane Chenic: «Perché non hai scelto una Ferrari? – mi ha chiesto un bimbo – Semplice: le Ferrari devono essere rosse, i taxi invece bianchi».
Fa il turno «sette spezzato» di solito, ma ultimamente «comincio un po’ più tardi e finisco verso le 2: è rischioso ma più divertente: capita di incontrare i clienti più strani». «Quelli della notte», perché volendo dividerli in categorie, «bisogna guardare alla fascia oraria». I più inquietanti? «Il lunedì notte, ma non chiedermi il motivo». I più comuni? «I manager: salgono a Linate e basta uno sguardo per capire che sono figli della Milano che produce: conoscono bene i prezzi e non si lamentano mai». I più frustrati? «A qualsiasi ora del giorno, tutti i giorni: sembra che questa città ne produca in quantità industriale». E però lei non ci litiga mai. L’unica eccezione: «Una signora completamente rifatta – gli zigomi gonfi e la pelle liscia liscia – sale sul mio taxi a San Babila e mi insulta per tutta la corsa». Da qui l’idea di una piccola rivincita: «Dopo che è scesa le ho detto: “Anche se cambi le piastrelle del bagno, resta sempre un cesso!”».
Trentatré anni, alla passione per i noir e la scrittura alterna la sua attività di sindacalista iniziata come fondatrice del sindacato autonomo dei tassisti professionisti. Da sette anni davanti al volante, e da un paio tornata sui libri per imparare il cinese. «Appena mi capita un cliente con gli occhi a mandorla cerco di allenarmi: non sa che facce fanno quando sentono parlare la loro lingua». Altre volte però, di stucco rimane Raffaella: «È sempre una sorpresa quando qualche cliente mi riconosce e dice di essere un mio lettore». Eppure continuano a raccontare: dei loro problemi, dei loro sogni e di una Milano che cambia, di corsa in corsa.
RITA BALESTRIERO
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